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Parigi, 2010. Tavi Gevinson, blogger tredicenne, siede a fianco della potente direttrice di "Vogue America", Anna Wintour, nel front row delle sfilate parigine. È la prima fila, quella più ambita, un tempo strettamente riservata ai buyer più potenti o alle giornaliste più influenti. Nella liturgia della moda, quel posto significa essere al centro dell'attenzione del brand. È questo il segno più evidente della rivoluzione che i media digitali hanno portato nella comunicazione delle aziende della moda e del lusso, strette dalla crisi e in cerca di nuove identità e nuovi consumatori. Mentre l'e-commerce (soprattutto quello di beni di lusso) continua a crescere, tanto da essere l'unico canale retail in positivo anche nei mesi più cupi della crisi economica, oggi il passaparola e la relazione con i grandi marchi corre su Facebook o Twitter, dove sono gli stessi consumatori a decretare, con i loro commenti e "like", vincitori e sconfitti, nuovi must have e marchi da dimenticare. Se è vero che anche le aziende di alta gamma e della moda hanno capito quanto sia fondamentale essere online, molte di loro non sono ancora "in-line" con i nuovi media e continuano a replicare metodi e linguaggi della comunicazione tradizionale, senza aggiornare le loro grammatiche ai meccanismi della rete.